Conoscere tutto è alquanto difficile, farlo con certezza impossibile. Per questo di fronte alla Storia bisognerebbe essere umili e cercare di ascoltare, da qualunque parte provengano i racconti. Poi certamente ognuno si farà le proprie opinioni, ma decidere a priori cosa è degno di attenzione e cosa no dimostra solo debolezza ed arroganza. Questo preambolo per introdurre un libro che molti forse non leggeranno per via della prefazione, qualche paginetta senza troppe pretese, scritta da un personaggio scomodo come Julius Evola; stiamo parlando di Bestie, Uomini, Dei di Ferdinand A. Ossendowski, un libro che racconta storie affascinanti, ma anche terribili.

La vita dell’autore è avvincente come la trama del miglior film d’avventura: polacco, chimico uscito dalla Sorbona e membro della commissione di esperti per l’esposizione di Parigi del 1900. Ma anche protagonista della guerra Russo-Giapponese, inviato in Mongolia durante la Prima guerra mondiale e schierato con i “bianchi” durante la rivoluzione bolscevica. Tutto questo fu Ossendowski, che in questo libro racconta le gesta di un uomo ancora più incredibile, avvolto nella sua stessa leggenda, conosciuto durante le sue peripezie in Asia Centrale: il nobile russo di origine baltico-tedesca Roman von Ungern-Sternberg, più noto come il “barone sanguinario”.

La rivoluzione bolscevica fu scontro di mondi, durante quegli anni di lotta, la Siberia, le steppe mongole e l’Asia Centrale furono teatro di avvenimenti straordinari, interi popoli si levarono in armi, scegliendosi la parte per i motivi più diversi, a volte arcani. Ungern-Sternberg dalla sua base di Urga, la moderna Ulaan Baatar, combatteva il comunismo e lo faceva a suo modo, in una lotta che oltre a sangue e violenza aveva anche molto di altra natura, quasi che di fronte all’atea mistica bolscevica si ergesse un esercito di combattenti quasi spirituali: quello di Ungern Khan, come finì per essere chiamato il barone. Non è fuori luogo che la leggenda arrivò a rappresentare quest’uomo come la personificazione del Dio della guerra.

Il libro di Ossendowski tocca anche temi metafisici, da qui forse l’interesse della casa editrice da cui è stato pubblicato, notoriamente legata a questi argomenti: le Edizioni Mediterranee. Nel libro si parla del Re del Mondo, una leggenda diffusa in varie parti del mondo secondo la quale un sovrano giacerebbe al centro della terra, in un luogo chiamato Agharti, da cui si raggiunge ogni angolo del pianeta. Questo re sorgerà nella battaglia finale contro i malvagi, ma quello che più interessa è l’idea di un centro segreto di governo del mondo, una concezione che ritorna spesso in diverse ideologie, non ultima quella nazista.

La connessione tra questa leggenda ed il barone Urgern-Sternberg, permette alle vicende raccontate da Ossendowski di avere un potenziale esplosivo, che tiene incollato il lettore dalla prima all’ultima pagina. Le pieghe della Storia, quelle lontane dai riflettori sono spesso le più interessanti. La guerra civile russa vide accadere molte di queste vicende, come quella che vide ad un certo punto la Transiberiana in mano a delle truppe cecoslovacche dirette a Vladivostok, da dove avrebbero salpato verso la Francia. Le stesse truppe si scontrarono con soldati tedeschi e austriaci in viaggio nella direzione opposta, insanguinando la Siberia con rancori europei. Eppure la Storia può essere raccontata in diversi modi.

Il proibito affascina, si sa, il che vale anche per figure quali quelle di Ungern Khan. La Storia può essere infatti raccontata da diversi punti di vista, come dimostra un altro libro dedicato allo stesso personaggio: Il barone sanguinario, scritto da Vladimir Pozner. Qui siamo nel romanzo, non abbiamo più delle persone che muoiono, violentano e sono dannatamente umane, qui abbiamo i protagonisti di un buon libro. Il male può essere rimosso dalla vita quotidiana e raffigurato come simbolico, con buona pace di tutte le persone per bene. Il libro di Pozner è un ottimo lavoro intellettuale, scritto su proposta di quel grandissimo poeta che fu Blaise Cendrars, ma ogni tanto vale la pena sporcarsi le mani, e la coscienza.

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