Un secolo fa le steppe centroasiatiche erano in fiamme, la rivolta imperversava tra i kazaki, i kirghisi e tutti gli altri popoli dell’Asia Centrale, una rivolta che fece letteralmente insorgere questa parte di mondo, con conseguenze che perdurano ancora oggi. Un periodo che i kirghisi ricordano come l’urkun (l’esodo) e che viene fatto iniziare con la reazione dell’editto del 25 giugno 1916, con il quale lo zar Nicola II chiamava al fronte tutti i maschi di etnia non russa di età compresa tra i 19 ed i 43 anni, sino allora esentati dal partire verso i campi di battaglia della Prima guerra mondiale.
Le perdite sostenute sino a quel momento dalla Russia imperiale erano state ingenti, si presentava quindi la necessità di ricorrere a delle popolazioni abitanti territori non ancora pienamente integrati nell’impero di Mosca, il risultato fu l’esplosione di una polveriera. Le prime reazioni si ebbero il 4 luglio a Khodjant nell’odierno Tagikistan, dove vennero assaliti gli ufficiali russi che, per reazione, spararono sulla folla. Ben presto l’insurrezione coinvolse tutta la Valle di Ferghana per arrivare alla zona Transcaspica ed alla Siberia, ma fu particolarmente violenta nella regione della Semirece.
La Semirece è un fertile bacino tra gli odierni Kazakistan e Kirghizistan, ma nel 1916 divenne un vero e proprio cimitero. Si calcola che nel corso della rivolta, la cui fine sfuma nel crollo dell’Impero zarista e nella rivoluzione del ‘17, gli insorti abbiano ucciso circa 35mila coloni russi, mentre le vittime centroasiatiche uccise dalle truppe di Mosca furono quasi 300 mila. Particolarmente drammatico il caso dei kirghisi che persero circa il 40% della propria popolazione, in gran parte perita di stenti nel tentativo di raggiungere la Cina, da qui l’origine del termine urkun.
In realtà la chiamata alle armi fu solo la classica scintilla, la rabbia covava infatti sotto le ceneri di un’Asia Centrale conquistata definitivamente solo nel 1876, con la caduta del khanato di kokand. Da quel momento le nuove autorità espropriarono le terre migliori per darle ai coloni russi, relegando le popolazioni autoctone ai margini delle zone più favorevoli all’agricoltura oppure all’allevamento. Lo sviluppo della produzione intensiva del cotone aveva poi completamente sovvertito la realtà economica alla base della vita delle popolazioni nomadi, sempre più povere e marginalizzate.
La guerra con le requisizioni forzate, il controllo dei prezzi ed in generale l’accresciuto intervento statale ruppe l’equilibrio che si era creato tra popolazioni nomadi e sedentarie. La rivolta del 1916 prese il via per mano di folle urbane motivate da interessi economici, ma estendendosi acquisì altre tinte, come dimostra il diverso trattamento riservato ai coloni russi nelle varie province insorte. La rottura di un’economia centroasiatica fortemente interconnessa è un tema attuale ancora oggi, visto che le cinque repubbliche non riescono a trovare valide forme di collaborazione.
Come detto, la rivolta del 1916 è un argomento scomodo, che gli storici sovietici e poi russi hanno trattato a seconda dell’ideologia del momento. Lotta di classe, guerra anticolonialista, rivoluzione nazionale, sono molte le letture con cui si è guardato a questi tragici fatti, rispolverati dopo la fine dell’Unione Sovietica in chiave nazionalista, una lettura che tuttavia oggi è sempre più propria dell’opposizione vista la rinnovata presenza di Mosca in Asia Centrale, col beneplacito dei vari governi. Un’ennesima complessità dei rapporti nella regione che la rivolta del 1916 mette in luce.
La rivolta del 1916 venne dunque relegata alle aule accademiche russe, dove studiosi di partito tentavano di dare a questa immensa sollevazione un posto nelle sorti magnifiche e progressive della rivoluzione comunista. Inutile dire che per le voci delle popolazioni locali non c’era spazio, tantomeno se dissidenti dalla versione ufficiale del momento. Un’importante eccezione fu Qily Zaman (Il tempo dell’ordalia) un libro scritto nel 1928 da Mukhtar Auezov, un giovane scrittore kazako. Auezov venne arrestato nel 1930 per due anni ed il libro ricomparve solo nel 1972.
Come detto sopra, la fine della rivolta del 1916 non è ben definita, venne soppressa dalle truppe imperiali poco prima del crollo dello zarismo, dando tuttavia origine al movimento dei Basmaci che per diversi anni si oppose alla nuova Russia bolscevica. Le tensioni esplose nel 1916 confluirono in quelle legate alla guerra civile tra bianchi e rossi, un’altra vicenda spesso poco studiata nella sua parte centroasiatica ma di grande interesse, basti citare il nome del barone von Ungern-Sternberg. Forse oggi più che mai la Storia della rivolta del 1916 ha molto da insegnare a chi voglia ascoltarla.
Fonte immagine: iias.asia
Interessantissima ricostruzione storica della rivolta centroasiatica del 1916.
Una sola aggiunta: la rivolta in realtà durò fino al 1935, quando gli ultimi gruppi di Basmaci vennero annientati dalle truppe sovietiche.
La storia di questa rivolta, dimostra una continuità tra la politica zarista e quella comunista, visto che al di là delle dichiarazioni di Lenin sul diritto all’audeterminazione dei popoli, la nuova armata rossa, fin dal 1918, si sostituì al disciolto esercito zarista nella repressione della rivolta.
Pensiamo al ruolo che vi ebbero generali come Mikhail Frunze da parte sovietica, e uomini politici dell’ex Impero Ottomano come Enver Pascià (uno dei responsabili del genocidio degli Armeni e della pulizia etnica anticristiana dell’Anatolia), che fu ucciso in battaglia presso Dushambe, nell’agosto del 1922.
Gli stessi coloni russi, quali che fossero le loro simpatie, fin dal 1918 videro nella nuova armata rossa, la continuità del potere russo, e dunque per le ragioni che hai citato, appoggiarono il nuovo potere bolscevico.
Solo con l’accordo tra URSS e Afghanistan nel 1929, e la chiusura della sua frontiera settentrionale da parte di quest’ultima, e dunque alla fine di un appoggio afghano alla rivolta musulmana centroasiatica, che essa potè essere alla fine, domata, intorno al 1935.
Rivolta che tra l’altro provocò la fuga in Afghanistan di 30.000 Arabi dell’emirato di Bukhara, oltre a schiere di Turkmeni e di Usbechi, che rafforzarono l’eterogeneità etnica dello stesso Afghanistan.
Grazie come sempre per i preziosissimi commenti!
Arabi discendenti dai primi coloni musulmani, stabilitisi in Asia Centrale al seguito della conquista araba dell’Asia Centrale nei secoli VII-VIII d.C.
Già nel 676 d.C., il califfo omayyade Muʿawiya deportò 50.000 Arabi shiiti del Golfo Persico a Merv.
I discendenti di questi Arabi shiiti, sarebbero stati i primi a rispondere all’appello della rivolta anti-omayyade del 747-750 d.C., che avrebbe portato sul trono califfale, la nuova dinastia abbaside.
Molto interessante
Grazie!