La speranza in un futuro migliore dovrebbe essere parte della stessa natura umana, migliorare le proprie condizioni di vita è un potente stimolo ad agire, come purtroppo ci ricordano i numerosi sbarchi di profughi sulle coste italiane, persone in fuga da guerre e miseria alla ricerca, appunto, di un destino diverso. L’Islam è sempre più presente nel mondo occidentale, un possibile modello di vita alternativo non privo di contraddizioni. Ma un modello di vita alternativo è possibile? Come può l’Islam farsi modello in un contesto laico come quello occidentale? Domande difficili alle quali non possiamo che suggerire timidamente degli spunti di riflessione.

Innanzitutto intorno all’Islam c’è molta confusione, non sempre in buona fede. La cultura islamica è, in alcuni aspetti, radicalmente diversa da quella occidentale e risente ancora delle “campagne mediatiche” lanciate all’indomani dell’attentato alle torri gemelle. La creazione di un nuovo nemico, sostituto di un URSS dissolta come neve al sole, non sembra essere del tutto riuscita, per vari motivi. Mentre l’Unione Sovietica era un mondo altro, trincerato dietro alla sua cortina di ferro e quindi lontano, i musulmani sono ovunque, la presenza islamica è in piena diffusione, sempre più attiva nella vita di ogni giorno di qualunque cittadina occidentale.

Tuttavia è difficile poter fare di tutti i musulmani un fascio, non esiste uno “stato islamico” da poter elevare a grande potenza nemica (l’Iran non rappresenta l’intero mondo islamico), da qui una proliferazione, sullo scenario internazionale, di interventi in conflitti regionali dove si inserisce l’essere islamico tra le caratteristiche dei “cattivi”, ma senza riuscire a far passare l’islam tout court come radicale e fondamentalista. La Cina potrebbe assurgere molto più facilmente al ruolo di nemico numero uno, ma quello cinese è un modello che all’occidente interessa molto: un mercato enorme retto da un regime sempre più liberista, senza l’impaccio dei diritti civili, finora. La Cina sembra essere molto più vicina agli Stati Uniti di quanto si pensi, il che non può non pesare sulle future relazioni internazionali del pianeta.

Spesso si sottolinea la diversità dell’islam sottolineando la mancata separazione tra laico e religioso. Ma siamo davvero sicuri che sia così? Il modello americano risulta essere forse altrettanto religioso, dove vere e proprie crociate vengono giustificate con la necessità di esportare la democrazia, redimendo il mondo dalla corruzione del mancato rispetto dei diritti umani. Solo una copertura per i propri interessi? Lo stesso si potrebbe dire di tanto fondamentalismo islamico che finanzia le sue attività terroristiche con il traffico di merci dichiarate haram (proibite) dal Corano. Su tutti la nuova frontiera del narcotraffico nella zona sahariana, una delle roccaforti attuali del radicalismo islamico. Un fondamentalismo che utilizza pratiche assolutamente lontane dalla sua dichiarata purezza.

E lo stesso sembra accadere anche in molti ambiti del mondo musulmano, ad esempio in quello della finanza islamica, sempre più integrata nell’ambiente finanziario mondiale, sebbene con un continuo adeguamento dei prodotti alla legge coranica, attraverso apposite isituzioni di esperti destinate al monitoraggio. Resta il fatto che sembra essere presente una sorta di “rincorsa” all’occidente, in un mondo dove la globalizzazione ha reso anche i paesi islamici legati a mondi completamente diversi, legami che oggi forse non si riescono (per conformazione) o non si vogliono (per interesse) sciogliere. Il rischio che accomuna il mondo islamico all’occidente è una possibile spaccatura trasversale, banalmente tra il basso e l’alto della piramide sociale.

Se nel laico occidente la rivolta contro un mondo globalizzato si esprime con movimenti radicalmente xenofobi e localistici, nell’islam il fondamentalismo potrebbe essere l’equivalente grido di protesta verso un mondo sempre più interconnesso. In entrambi i casi si vuole la cacciata dello straniero da “casa prorpia”, quello che cambia sono i criteri di identificazione del supposto straniero; etnici in un caso, religiosi nell’altro. Anche regioni islamiche tradizionalmente moderate, come l’Asia Centrale, hanno visto il crescere di fenomeni islamici radicali, il che significa che le giovani generazioni sono attratte dai movimenti estremisti, portatori di palingenesi (rivoluzione o riforma che sia) proprio come il populismo politico imperante ad occidente. Per contro, usando forse un termine forse non adatto all’islam, si sta creando una “classe media” che strizza l’occhio alla sua controparte occidentale.

Molti hanno in passato facilmente impresso all’islam l’etichetta di “antiamericano” trascurandone tuttavia la complessità. Oggi anche i terroristi islamici sorridono (un vero colpo di marketing) e pochi occidentali sono disposti  ad abbandonare il proprio stile di vita, tendenzialmente individualista, per la sharia: il collettivismo era una realtà solo altrove. Se la sfida dell’islam moderato sarà quella di guidare la globalizzazione, il fondamentalismo islamico rischia di essere l’unico strumento per superarla, dando risposte sbagliate a problemi reali, resta da vedere se a parlare saranno le urne o le armi; nella speranza che lo stesso dilemma non si ponga anche nel paronama politico occidentale. Uno dei rischi risiede, come detto, nella possibile comparsa di fratture sociali multiple: etniche, religiose, di classe. Anche questo fa parte dello scontro-incontro tra diverse civiltà.