Nella massa di informazione che ci travolge, da internet alle maratone televisive sino agli instant book a volte pericolosamente vicini allo sciacallaggio, capita di trovare dei vecchi libri che si rivelano strumenti utilissimi per capire il presente. Uno dei luoghi dove trovare queste importanti fonti di sapere sono sicuramente le biblioteche, tanto più preziose quando regalano le opere più vecchie e (spesso) meno consultate. In queste occasioni è molto probabile trovare dei libri di valore, proprio come recentemente successo a me che ho scoperto l’Arabia Saudita tra e Monza e Milano.

Il libro in questione risale al 1960 ed è intitolato La cittadella di Allah, un interessantissimo diario di viaggio in Arabia Saudita scritto da un personaggio sconosciuto ai più: Felice Bellotti. Le fortune, o per meglio dire le sfortune, dell’autore sono molto probabilmente legate al suo essere stato fortemente compromesso con il regime fascista che lo ha portato, nel dopoguerra, ad occuparsi di reportage da paesi più o meno esotici per il settimanale Tempo. La scrittura di Bellotti ê piacevole, scorrevole ma quello che più destano interesse sono le sue riflessioni, davvero acute.

Avuto il privilegio di essere invitato da re saudita, Bellotti ci porta alla scoperta di un’Arabia Saudita quasi del tutto sconosciuta, dove le occasioni di incomprensione sono numerosissime e spesso molto divertenti, per noi che leggiamo ovviamente ma meno per lui che rischia la testa. Il panorama offerto dal libro abbraccia numerosi campi da quello geografico a quello sociale , facendoci conoscere delle storie che altrimenti sarebbero rimaste sepolte tra le sabbie del deserto arabico, comprese quelle degli italiani emigrati in Arabia Saudita provenienti dalle colonie africane.

Dopo la fine dell’impero coloniale italiano, furono infatti molti gli italiani che dall’Africa raggiunsero l’Arabia Saudita per lavorare nel nascente settore petrolifero e nella costruzione di infrastrutture. Se alcuni fecero fortuna, i più restarono oscure maestranze addette ai pozzi di petrolio relegate dagli americani nelle baracche destinate ai sauditi lontani. Proprio il rapporto tra monarchia saudita e compagnie americane è il tema dove le intuizioni di Bellotti sono più geniali, lasciando già intravedere quella contraddizione forse insanabile tra l’islam wahabita saudita e la modernità.

Un rapporto complesso che possiamo approfondire grazie ad un altro libro, davvero fondamentale, ossia Jihad. Ascesa e declino di Gilles Kepel, un libro scritto da uno dei massimi studiosi delle società islamiche forse poco capito. Ad un prima lettura le conclusioni dell’autore, scritte prima dell’attentato alle Twin Towers, sembrano radicalmente sbagliate ma un’attenta lettura del volume fa capire che forse le cose non stanno esattamente in questi termini. Secondo Kepel il fondamentalismo islamico era destinato a scomparire sconfitto da un Islam moderno e democratico.

La narrazione delle vicende storiche che hanno portato al fondamentalismo islamico moderno è magistrale, l’opera di Kepel è documentata ed attenta, un testo inevitabile per chiunque si interessi all’argomento. L’errore di molti critici, a mio modesto parere, è stato nel cogliere in profondità come le analisi dell’autore siano profondamente interne al mondo dottrinale musulmano, senza capire che il fondamentalismo islamico per sopravvivere ha dovuto uscire da questo mondo e sposare la globalizzazione, di cui l’ISIS ne è un prodotto a tutti gli effetti, mediatici compresi.

Il Califfato Islamico non ha nulla a che vedere con l’universo musulmano classico ma è invece figlio di un mondo globalizzato secondo criteri occidentali, figlio di quella contraddizione che Bellotti aveva già intravisto in Arabia Saudita più di cinquanta anni fa. Senza considerare questo, ossia l’apporto diretto ed indiretto occidentale al fondamentalismo islamico, le conclusioni di Kepel sono ovviamente sbagliate, derivanti da una lettura superficiale e poco attenta, forse interessata. Un fondamentalismo islamico impossibile da capire e sconfiggere se relegato altrove, lontano da noi.

Come già scritto su questo blog, l’Islam rappresenta per il mondo occidentale un modello di struttura sociale pericolosamente alternativo, paradossalmente molto più pericoloso del fondamentalismo. La corruzione dell’Islam, la stessa che i fondamentalisti dicono di voler combattere, è parte integrante degli interessi strategici occidentali con il risultato di contraddizioni quali avere l’Arabia Saudita tra i membri della Commissione ONU a tutela dei diritti delle donne. Un mondo, quello saudita, molto complesso che alcuni libri ci aiutano a comprendere meglio.

I libri sulla Storia dell’Arabia Saudita in commercio non sono molti, si veda Al Uthaymin, Storia dell’Arabia Saudita

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