La Storia della Cina di Mario Sabattini e Paolo Santangelo, chiaramente pensato come testo universitario, è un ottimo libro per avvicinarsi alla storia cinese. Senza conoscerne, almeno per grandi linee, il millenario passato, è molto difficile che si riuscirà capire la Cina di oggi. E i due autori sottolineano infatti come un elemento base delle vicende cinesi sia proprio il concetto di continuità.

Sia per la natura dell’opera, che per la volontà degli autori di evitare il più possibile l’applicazione di concetti occidentali alla storia cinese, il libro si struttura secondo un ordine cronologico e tematico. Il filo conduttore tra le diverse epoche storiche risulta essere un processo di centralizzazione incentrato sulla dottrina del “mandato del cielo”.  Secondo tale concetto il sovrano è legittimato finchè agisce secondo i voleri del cielo, nel caso contrario il suo rovesciamento sarà giustificato. Interessante notare come esecutore del “mandato del cielo” possa essere anche il popolo, e come tale mandato non renda il sovrano di per sè divino, anzi il sovrano tramite i riti, cerimonie quindi importantissime, dovrà continuamente ingraziarsi i favori del cielo, allontanando calamità naturali, sconfitte o sofferenze al suo popolo, tutte indicazioni della “revoca” del mandato.

Proprio nel “mandato del cielo” risiede la continuità della storia cinese, anche se va detto che la storiografia cinese ha sempre esaltato gli elementi di conservazione arrivando ad avere una storia in parta falsata in partenza, rischiando così di negare il processo storico dipingendo una Cina immobile al centro dell’esistente. L’accusa di immoblismo è stata spesso rivolta alla Cina da parte dell’Occidente, sebbene in altri periodi storici la continuità sia stata invece vista positivamente come un fattore di stabilità. Lo stesso Marx diede giudizi negativi dell’immobilità ed arretratezza dell’Asia, il che non fu senza importanza nell’elaborazione di una forma di comunismo cinese che si basasse su premesse diverse. A questo proposito non sembra fuori luogo un parallelismo tra i riti dedicati al cielo e quelli odierni del Partito Comunista, entrambi funzionali alla legittimazione del potere.

Uno dei pilastri della struttura politica imperiale fu il confucianesimo con la sua dottrina sociale imperniata sul rispetto delle gerarchie, sia in ambito statale che familiare. Questa dottrina può essere messa in relazione con il sistema dei tributi che l’impero cinese pretendeva dagli altri stati, a riconoscimento della supremazia cinese. E questo atteggiamento può essere ritrovato anche oggi nelle contese territoriali che vedono la Cina protagonista, ed addirittura nel suo rapporto con gli Stati Uniti; la Cina insomma, comunista o meno, vuole che il suo ruolo venga riconosciuto. La continuità nella storia cinese si ha anche in un altro potente fattore di unificazione: la scrittura, non alfabetica e sviluppatasi in modo da permettere a persone parlanti lingue diverse di avere uno strumento di comunicazione comune. Secondo gli autori il prevalere di una forma scritta di linguaggio, va messa in stretta relazione con l’importanza attribuita all’organizzazione ed all’onnipresenza del lato “politico”.

Il libro affronta poi anche la questione geografica ed il tema fondamentale della frontiera. Le enormi dimensioni della Cina, e le differenze esistenti da un luogo all’altro, rendono la geografia un elemento fondamentale nella gestione del territorio. Anche qui si possono riscontrare continuità tra il passato imperiale ed i giorni nostri. Le diverse frontiere furono mantenute con politiche diverse: dall’incorporazione della Manciuria e dei territori meridionali, sebbene questi mai del tutto domati a causa delle numerose minoranze esistenti, fino alla conquista vera e propria dell’ovest, un vero e proprio far west cinese. La zona più vicina all’Asia Centrale ha sempre rivestito grande importanza economica per via delle rotte carovaniere, ed oggi come ieri a farne le spese è la popolazione musulmana degli Uiguri. Con le popolazioni nomadi settentrionali, invece, le esigenze commerciali portavano ad una sorta di dipendenza reciproca, nonostante le abissali differenze culturali.

Aspetto interessante è poi quello dell’esistenza, nonostante una centralizzazione così forte, di una cultura popolare, come per esempio in campo religioso. Ai governanti cinesi non ha mai interessato reprimere la religione come fatto privato, ma bensì impedire che gli aspetti sociali del fenomeno religioso arrivassero a far emergere una Chiesa alternativa al potere statale, ed ancora oggi in Cina non è proibito il dissenso ma il fatto che il dissenso si faccia piattaforma che delegittimi il potere costituito. Fino a quando l’autorità centrale non viene messa in pericolo esiste una forma di tolleranza, seppur vigile, in un gioco di equilibri. In Cina esiste addirittura un’istituzione destinata alle lamentele della popolazione, ma è fortemente limitata nel decidere la quantità di esposti da accogliere, un numero eccessivo certificherebbe un non funzionamento dello stato ma un numero troppo esiguo sarebbe visto dalla popolazione come un rifiuto all’ascolto.

Una storia quindi che fa emergere diversi punti di contatto tra la Cina di ieri e quella di oggi, dove il comunismo è di fatto una religione laica, unica depositaria della verità e custode di voleri superiori, ma seguendo un percorso tracciato dai sovrani precedenti. L’esistenza del “mandato del cielo” impedisce inoltre un rovesciamento assoluto, dato che il sovrano – ed eventualmente il popolo – sono solo dei tramiti per il buon funzionamento dell’esistente. Il mandato diventa così elemento di stabilità in momenti difficili come quello che sta vivendo la Cina oggi, sconvolta da cambiamenti rapidissimi e non del tutto sottocontrollo. Un popolo quindi che non può farsi Dio ed un sovrano (oggi il Partito) che non può diventare assoluto, in costante equilibrio, almeno fino a quando la Cina sarà in grado di far fronte, o assorbire, ideologie esterne, come può esserlo un’eccessiva occidentalizzazione.