A quarant’anni dalla caduta di Pechino in mano alla dinastia mancese dei Qing, un’altra sconcertante notizia si spande sulle onde del Mar Cinese Meridionale: la Cina riapre i suoi confini. L’imperatore Kangxi, salito al potere nel 1654, decide infatti di rovesciare una politica isolazionista che da quasi trecento anni tiene la Cina chiusa entro i suoi confini. Dopo la grande epoca delle esplorazioni navali di Zheng He, Pechino si è infatti sempre più isolata. In realtà il commercio sulle coste cinesi non è mai del tutto sparito, ha spesso preso la forma della pirateria. Le cose stanno per cambiare.

Un cambio di rotta

Ciò che spinge colui che sarà uno dei più grandi imperatori della storia cinese alla riforma del 1684, è la volontà di cambiare le politiche economiche e commerciali che guidano le scelte dello stato. I Ming avevano sviluppato forti relazioni commerciali con i popoli mongoli e dell’Asia Centrale, i Qing invece guardano sempre più alle coste sudorientali del paese. Questa parte di Cina è da secoli infestata dalla pirateria, Kangxi decide ora di farne, invece, il fulcro del suo sistema di tassazione, legalizzando e centralizzando un commercio che di fatto era solo diventato sotterraneo e illegale.

Nel 1683, solo un anno prima, è caduta Taiwan. Con il supporto degli olandesi, che col tempo saranno sempre più presenti nelle vicende del sudest asiatico, le forze imperiali hanno sconfitto la resista di Zheng Chenggong, da noi più conosciuto come Koxinga. Per combattere questa rivolta gli abitati delle zone costiere erano stati spostati circa 10km verso l’entroterra, con una notevole ripercussione sulla vita economica locale. Lo scontro tra potere centrale e potere locale, in questo caso quello delle regioni della Cina marittima, sarà sempre una costante della vita politica cinese.

La riforma dei tributi

Una delle ragioni che spingono Kangxi a questa epica decisione, è anche la riforma di un aspetto poco compreso della storia cinese: la questione dei tributi. Generalmente si pensa, sbagliando, che il tributo fosse una dimostrazione di sudditanza, in cui un popolo sottomesso portava doni a colui che lo sottometteva. Il sistema dei tributi era invece un vero e proprio sistema commerciale in cui lo scambio merci era reciproco, anzi spesso con una bilancia negativa per le casse di Pechino. In cambio di una riconosciuta supremazia, infatti, l’impero accettava una possibile perdita economica.

Le fonti del tempo sono piene di lamentele cinesi verso le delegazioni tributarie in visita. Troppe persone da alloggiare, nutrire e alle quali donare merci di valore non sempre ricevendo in cambio qualcosa di meritevole. Kangxi cerca quindi di riformare tutto questo, separando tributi e commercio, questo spesso verso paesi da cui non provenivano delegazioni. Il commercio in mano a privati da tassare e controllati dallo stato, mentre i tributi potevano essere solo portati da persone autorizzate in precedenza, in sostanza una razionalizzazione degli scambi commerciali della Cina.

Venti contrari

Come spesso accade nella storia cinese, questa ventata di riforme non durò a lungo. L’apertura dei confini si accompagnò ad un fenomeno da sempre esistente, ossia l’emigrazione dei cinesi delle regioni costiere. Kanxi temeva che questi, soprattutto nell’odierna Indonesia, assumessero funzioni ufficiali nei paesi ospitanti e, nel 1717, stabilì che tutti dovessero tornare pena la perdita della possibilità di farlo in futuro. In realtà l’opposizione dei governatori locali non portò mai alla piena applicazione delle leggi, ma testimoniano una questione complessa presente ancora ai nostri tempi.