Come mostrato da recenti studi, la situazione idrica in Asia Centrale sembra andare sempre peggio. Al famosissimo caso da manuale chiamato Lago d’Aral, si sono aggiunti altri inquietanti segnali di una futura carenza di acqua per l’intera regione. La catena del Tian Shan, da cui nasce l’importante fiume Syr Darya ha perso in circa cinquant’anni il 27% dei suoi ghiacchiai, mentre in Afghanistan e Pakistan i ghiacciai che si stanno ritirando sono il 93%. Un altro importante lago, il kazako Balkash, rischia di fare la fine dell’Aral in Uzbekistan, paese in cui il fenomeno si rivela in tutta la sua drammatica complessità.

Dallo scempio ecologico che fu l’Aral, infatti, ogni anno spaventose tempeste disperdono circa 150 milioni di tonnellate di sale sul territorio circostante. Come se non bastasse, numerose siccità stanno colpendo la regione, devastando non solo il Karakalpakstan ma anche le regioni del Khorezm, di Bukhara e di Kashkadarya. I cambiamenti climatici, amplificati dalla lontananza centroasiatica dal mare, stanno rendendo drammatica una situazione nata per l’eccessivo sfruttamento delle acque disponibili, per usarle ai fini della produzione industriale, nel caso uzbeko soprattutto incentrata sul cotone.

Il risultato di questa scarsità idrica, amplificata dal mancato utilizzo delle risorse disponibili per la mancanza di mezzi tecnici adeguati, spinge ogni anno sempre più persone dall’ovest dell’Uzbekistan alla ricerca di terre nella Valle di Ferghana, la regione più fertile del paese e già densamente popolata. Questo aumento di popolazione – seppur stagionale – in un contesto segnato da forti tensioni etniche, rischia di rendere la situazione esplosiva. L’agricoltura della Valle di Ferghana è infatti alle prese con le conseguenze della costante riduzione della portata delle acque del Sir Darya.

La gestione delle risorse idriche spacca l’Asia Centrale in due: da un lato i paesi “ricchi di energia e poveri d’acqua” (Uzbekistan, Turkmenistan e Kazakistan), dall’altra i paesi “ricchi d’acqua e poveri di energia” (Tagikistan e Kirghizistan). La diga di Rogun ha già suscitato recriminazioni tra uzbeki e tagiki, l’annuncio che la Russia finanzierà la costruzione di nuove centrali idroelettriche in Kirghizistan non fa che peggiorare le cose. Dalla loro indipendenza – ormai 25 anni fa – le repubbliche centroasiatiche non sono riuscite ad accordarsi sulla gestione delle loro economie per forza di cose interdipendenti.

La mancanza dell’intervento regolatore – seppur interessato – proprio dell’Unione Sovietica, spinge le cinque repubbliche verso un bivio: cercare la collaborazione superando conflitti e tensioni ancenstrali oppure indirizzarsi verso uno scontro che numerosi esperti ritengono ormai inevitabile. Sembra essere questo il nocciolo della situazione idrica nella regione, un nodo che sarà molto probabilmente difficile sciogliere, essendo molteplici i fattori che influenzano il quadro. Alle tensioni sociali si aggiunge la crisi delle autocrazie, senza dimenticare la minaccia fondamentalista che pesa sull’Asia Centrale.

Le nuvole nere sul futuro centroasiatico non mancano, tuttavia ci sono anche elementi positivi. In Uzbekistan è sorta la biosfera modello di Nuratau-Kyzylkum per proteggere la biodiversità e sono numerosi i progetti e le agenzie, anche internazionali, all’opera per combattere la desertificazione. Sempre l’Uzbekistan sta inoltre collaborando con Turkmenistan e Kazakistan ma servirà un cambiamento economico radicale, a partire da un ripensamento della produzione del cotone, dannosa per la fertilità del terreno. Solo il domani dirà se le correnti centroasiatiche porteranno guerra o coooperazione.

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