Ci sono libri che fanno riflettere, anche semplici racconti lunghi meno di cento pagine. Questo è uno di quei libri, anche se non è proprio un racconto visto che i personaggi e i luoghi sono veri. Un intreccio tra finzione e reale, un pirandelliano strappo nel cielo di carta visto dalla parte del cielo, anche se qui sarebbe più appropriato parlare di squarcio più che di strappo dato che protagonista vero del racconto è il fondamentalismo islamico. Quello verissimo siamo invece tutti noi. Il libro di Matteo Zola, Interno Pankisi, ci porta nel Caucaso, tocca temi delicati ed allo stesso tempo viene da noi per darci un pugno in faccia.

L’autore

Matteo Zola è piemontese, completamente piemontese, il suo ritratto potrebbe benissimo stare in compagnia di quelli di Pavese e di tutto il gruppo Einaudi. Di Fenoglio no. Matteo è infatti un organizzatore di cultura, una parola orrenda che indica chi fa della cultura un’arte più che un lavoro. Zola è un grandissimo formatore di giornalismo, creatore e direttore di East Journal rivista indipendente di politica e cultura dell’est Europa che non ha nulla da invidiare agli organi di formazione più conosciuti e finanziati. Matteo è un artigiano del pensiero, oltre che un carissimo amico con cui mandarsi a quel paese ogni tanto.

Interno Pankisi

Veniamo al libro, la prima cosa che molto probabilmente la maggiore parte dei lettori si chiederanno è chi diavolo sono i Pankisi. Per fortuna Zola lo spiega come premessa al libro: si tratta di una valle caucasica, dove vivono i Kisti, una delle tante etnie di questa remota regione a cavallo di mondi. Il protagonista torna nel suo villaggio da cui si era allontanato quando i fondamentalisti imposero le loro leggi, alla ricerca delle proprie radici. Qui, dopo anni di vita in Svizzera ritrova le persone del suo passato e la modernità del presente del villaggio, da cui una serie di riflessioni le cui risposte l’autore sottolinea con frasi taglienti come sciabolate.

Inferno morale

Le riflessioni del protagonista di Interno Pankisi non sono solo sue, sarebbe troppo comodo, sono anche nostre. Perché gli abitanti del villaggio accettano il potere dei fondamentalisti? Cosa porta la modernità al villaggio? Quali sono gli intrecci tra fondamentalisti e modernità? Senza capire questo non si può capire nulla del fondamentalismo e di molto altro. La morale dovrebbe determinare le scelte di ognuno, farne a meno forse si vive meglio senza, di sicuro senza morale non ci si fanno domande. Vivere senza farsi domande non è umano, anche se si ha un lavoro, una famiglia, un televisore gigante, lavatrici e automobili.

Giornalismo oggi

Il libro ci dice anche che si può fare giornalismo anche raccontando, di questo Matteo ci offre un esempio lampante. Raccontare permette di uscire dagli schemi, restando sé stessi ma liberandosi dalla rigidità del proprio ruolo nella società. La trama diventa la coerenza con la visione della propria vita, dando al lettore la possibilità di crearsene una propria il che sarebbe impossibile senza la fantasia del raccontare. Oggi invece il giornalismo è dannatamente concreto, quasi avesse un bilancio aziendale a cui fare riferimento. Il grande merito di Matteo Zola è anche quello di rimettere al centro del giornalismo l’essere prima di tutto l’uomo.

Conclusione

In realtà non c’è una conclusione, il finale dei racconti è solo il momento in cui l’autore dice che può bastare, ma i protagonisti continuano a vivere. Questo è un libro da leggere, ma soprattutto da meditare. Se l’importante non è la caduta ma l’atterraggio, l’importanza di un libro è in ciò che lascia dentro. Non posso che concludere questa recensione pensando ad altro grande scrittore e giornalista piemontese che, come Matteo Zola, forse dà il meglio di sé quando libero di navigare in mare aperto solo in compagnia della propria bussola: Davide Lajolo. Come Matteo esperto del mondo ma profondamente legato alle sue radici.

Fonte immagine: Balcanicaucaso.org