Sono passati ormai 10 anni da quando ho partecipato alla mia prima (ed unica) edizione del Mongol Rally, una delle corse automobilistiche più pazze del pianeta. Sinceramente non sono ancora riuscito a razionalizzare del tutto cosa sia stato partecipare a questa gara, affrontando un viaggio dall’Italia alla Mongolia su di una Panda attraversando paesi come l’Iran, il Turkmenistan oppure il Tagikistan. Se non fosse stato per il mio compagno di viaggio, Matteo, non sarei mai arrivato a Ulaanbaatar, la capitale mongola, probabilmente non sarei proprio nemmeno partito, visto che la macchina ce l’ha messa lui.

Sì, perché i costi del Mongol Rally non sono bassi, a partire proprio dal veicolo. Il regolamento prevede auto di piccola cilindrata, ma un percorso del genere significa comprare un’auto usata (bene o male ne uscirà distrutta quindi meglio evitare auto nuove) in ottime condizioni che avrà bisogno di diverse elaborazioni. La stessa iscrizione si aggira sulle 700 sterline, a cui ne vanno aggiunte altre 1200 come deposito a copertura del rientro dell’auto in caso di incidente o altri guai. E poi ci sono i visti, la benzina, le assicurazioni (partire senza è totalmente da folli), il cibo e tutto il resto; decisamente il Mongol Rally non è un’impresa economica.

Ma quindi il Mongol Rally non rischia di essere un gioco per ricchi annoiati? Il rischio c’è, innegabile. Tuttavia tra i numerosi ragazzi che ogni anno mi contattano per avere informazioni sulla corsa, vedo una grande voglia di sentirsi vivi, di fare qualcosa di unico. Di stupido? Forse, ma è davvero importante? A me il Mongol Rally ha cambiato la vita, nel senso che mi ha sbattuto in faccia l’esistenza di altri mondi, correre sulle steppe dell’Asia Centrale è stato un buon antidoto all’integrazione una volta tornato. Venivo dal classico posto fisso ben pagato, dopo questa esperienza un buon lavoro non mi soddisfa più, per niente.

Questo non è tanto un articolo informativo, sul blog ne ho scritti altri più pratici, si tratta più di una messa in guardia dall’esperienza a cui si va incontro. Io e Matteo abbiamo fatto grandi litigate, in fondo eravamo due sconosciuti uniti da un miraggio divenuto realtà. Ho conosciuto molti team scossi da tensioni non indifferenti, d’altronde il tipo di avventura mette a dura prova nervi e legami, rimanere in panne sul Pamir a 5mila metri di quota ti mette di fronte a te stesso, volente o nolente. Al giorno d’oggi ci sono poche occasioni di essere così messi alla prova, in fondo il Mongol Rally è un gioco che fa diventare presto adulti.

Il mondo degli adulti è quello degli intrighi, dei distinguo e delle prese di posizione. Andando a ricercare, dietro al Mongol Rally si nascondono diverse polemiche. L’aver riempito di bidoni il mercato delle auto usate mongolo (tanto che oggi l’arrivo è stato spostato ad Ulan Ude, in Russia), il cattivo uso dei fondi raccolti per beneficenza (che ha portato alla nascita di un’organizzazione che organizza una corsa simile ma a cui si può partecipare solo con mezzi di utilità sociale) e la diffusione di una cultura del viaggio troppo individualista, vale la pena ricordare che uno degli slogan della corsa è “rendere il modo meno noioso”.

Per una realtà come il Mongol Rally il Covid è stata una bella mazzata, edizioni 2020 e 2021 annullate e quella 2022 limitata ad un numero chiuso di equipaggi (già sold out ma possibile iscriversi in lista di attesa). La Visa Machine, supporto per la gestione non trascurabile dei vari visti e documenti, sembra non esistere più, il che significa aumento dei costi e della fatica organizzativa per ogni partecipante. In tempo di Covid è poi nato il Mongol Rally X, praticamente una gara in cui ognuno sceglie di andare nei posti più assurdi che riesce a raggiungere con il mezzo più improbabile. In pratica una sorta di Mongol Rally formato lockdown.

In conclusione, cosa penso del Mongol Rally? Non lo so, ho sospeso il giudizio. Molti ex partecipanti che ho incontrato negli anni alla domanda “lo rifaresti?” mi hanno risposto “sì, ma senza Mongol Rally”, penso sia una buona sintesi. Però è anche vero che detto a posteriori è un po’ troppo facile, penso in ogni caso che ognuno debba fare le proprie esperienze, se poi finiscono bene e portano qualcosa meglio. In un mondo sempre più omologante è meglio essere omologanti facendo una cosa banale come guidare ai bordi del deserto del Gobi o alle pendici del Tien Shan, ognuno poi ne ricaverà una propria lezione, questa sì unica.

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