Siamo nel 1964, all’incirca un mese prima che Leonid Breznev prenda il potere a Mosca, dando il via a quell’epoca che verrà chiamata stagnazione, un periodo di ritorno all’ordine dopo e di anonimo dominio dell’apparato lontano dal culto della personalità dei leader precedenti: Stalin e Krusciov. Il luogo è la celebre prospettiva Nevkij, all’angolo con la prospettiva Vladimirskij, una zona della città da sempre ritenuta malfamata, luogo ideale per ospitare uno dei luoghi forse più importanti nella storia della cultura (cultura? Controcultura? A-cultura? Come vedremo una questione complessa) sovietica: il Caffè Sajgon.

Il Sajgon fu un vero e proprio luogo di incontro e passaggio per tutti coloro che, nell’Unione Sovietica del tempo, non si si riconoscevano nella cultura ufficiale organizzata dalle autorità nei luoghi ufficiali, come potevano essere i circoli dei pionieri o quelli della gioventù comunista, la fin troppo attiva Komsomol. Per circa vent’anni fu il centro di una controcultura che semplicemente si disinteressava di quello che succedeva intorno a sé, da qui il concetto di a-cultura sovietica più che di controcultura, interessata soprattutto ad avere un luogo dove confrontarsi, discutere e sentirsi parte di una famiglia comune e altra.

Al Caffè Sajgon si formarono diversi tra i più importanti musicisti della scena sovietica come Boris Grebenscikov degli Aquarium, Viktor Coj dei Kino e moltissimi altri. Di questo luogo parla Gian Piero Piretto in un libro splendido: Quando c’era l’URSS, 70 anni di Storia culturale sovietica edito da Raffaello Cortina Editore. Un libro decisamente adatto al tema che tratta, se il primo impatto può intimorire (oltre 600 pagine di analisi della propaganda sovietica) col passare delle pagine la rigidità burocratica si scioglie e rivela un mondo vivo dove anche il minimo dettaglio è sintomo di un cambiamento letteralmente epocale.

Piretto è un maestro nel portare alla luce ciò che è celato dietro alla cortina dell’ufficialità, regalandoci un’opera immensa sulla Russia del tempo. Un altro luogo rock che emerge dalle pagine del libro è il primo rock club ufficiale della città, aperto nel 1981 al 13 di via Rubinstejn con una collaborazione tra le autorità e parte della scena musicale cittadina. La scelta “legalitaria” non piacque a tutti i musicisti, ma di fatto il rock club influenzò tutta la cultura musicale sovietica successiva. Non era più la bohème del Sajgon, ma qui le band avevano a disposizione gli strumenti per portare avanti professionalmente il loro progetto artistico.

Come facile immaginare, per poter partecipare alla vita di questo locale i musicisti dovevano essere ammessi da una commissione, il partito comunista, il kgb e l’onnipresente Komsomol non volevano certo dare spazio a voci troppo estremiste ed in dissenso con l’ideologia ufficiale. Fu una realtà complessa, un sottile equilibrio in cui giovani musicisti che non si sentivano in linea con l’ideologia ufficiale approfittavano degli spazi e dei mezzi concessi, per andare contro gli stessi che quegli spazi e quei mezzi mettevano a disposizione, mentre le autorità vi vedevano la possibilità di controllare e contenere una carica ribellistica.

Nel suo libro Piretto ci fa scoprire una moltitudine di culture non disposte ad integrarsi nell’ufficialità sovietica, dai mitky intrisi di zen, cultura hippy e vodka e dall’esemplificativo motto “i mitky non vogliono vincere nessuno” agli stilyagi ammiratori del boogie-woogie e della moda occidentale; una ribellione attraverso lo stile che in qualche modo ricorda i mods inglesi. Ed ancora i punk, ancora oggi legati al DIY (Do It Yourself) che ci riporta direttamente agli anni del samizdat, vero fenomeno sovietico che vide la diffusione in tutto il paese di cantautori non ufficialmente distribuiti come nel caso di Vladimir Vysockij.

Il Caffè Sajgon chiuse nel marzo 1989, poco prima che in Cina avvenne la tragedia di piazza Tiennamen, lasciando orfani la caleidoscopica umanità che lo frequentava. Un’umanità che come forma di resistenza aveva la non partecipazione, un po’ quello che i ragazzi cinesi stanno scoprendo solo oggi con la rivolta del tangping, ossia lo stare sdraiati, una questione che sarebbe interessante approfondire. Bisogna infatti sempre andare oltre all’apparenza e cercare di capire quello che accade al di là (e nonostante) la narrazione ufficiale, come insegna il bellissimo libro di Piretto. Ah, il Caffè Sajgon chiuse per far posto ad un negozio di sanitari italiani, effetti della Perestrojka…

Fonte immagine: Arterritory.com