Uno degli aspetti più interessanti della Cina è il numero delle sue minoranze etniche, quelle ufficialmente riconosciute sono cinquantasei, ma nella realtà sono molte di più. In particolare basta viaggiare nel sud del paese, ad esempio nello Yunnan, per capire come le minoranze siano in alcune zone una percentuale rilevante rispetto alla maggioranza han. Culture, lingue e cucine diverse, la varietà della Cina è data anche dalle sue minoranze, tuttavia capire il rapporto tra queste ed il governo di Pechino non è una questione semplice, occorre andare un po’ più a fondo rispetto alla versione ufficialmente fornita dalle autorità.
Le autorità cinesi, infatti, parlano spesso e volentieri di armonia, facendone un vero e proprio slogan, una lotta comune di tutte le etnie presenti nel paese per raggiungere uno scopo comune, vale a dire la grandezza della Cina ed il successo della rivoluzione comunista. Trovare degli strumenti per affrontare la questione non è semplice, il tema delle minoranze è al centro della lotta geopolitica – basti pensare al Tibet oppure al Xinjiang – da qui la produzione di opere e studi spesso tendenziosi. Un interessante libro è tuttavia Ethnicity in China scritto da Xiaowei Zang, professore universitario di scienze sociali ad Hong Kong.
Il lavoro di Zang pur se non recentissimo è prezioso, prende in analisi la politica del governo cinese verso le minoranze, disegnando un quadro ben diverso da quello dipinto da tanti media occidentali, ossia quello di un potere tirannico che maltratta senza pietà dei popoli conquistati. Le cose sono molto più complesse e l’autore tenta di dipanare la matassa fissando anche dei momenti storici chiave, causa di cambiamenti nel rapporto tra minoranze e governo centrale. Uno su tutti viene individuato nella rivoluzione culturale di Mao che attaccò le tradizioni locali come resti di un passato feudale da combattere in nome del progresso e della lotta di classe.
La visione di etnie rimaste indietro dal punto di vista del progresso si fonde con una tradizione confuciana basata su una rigida gerarchia sociale, ad esempio il rapporto padre e figlio. Il confucianesimo è un filo rosso nelle pagine di questo libro, un filo rosso che collega il passato ed il presente della Cina. Altra grande svolta nel rapporto tra governo e minoranze è stata la politica del dopo Mao, quando Deng Xiaoping lanciò il famoso slogan “arricchirsi è glorioso”, spostando l’accento dalla lotta di classe allo sviluppo economico. All’interno delle comunità delle minoranze questo si rivelò l’inizio di una grave frattura economica e sociale.
Zang mostra come gli interventi economici e legislativi di Pechino verso le minoranze siano cospicui, ma a tratti controproducenti. L’intervento governativo è infatti volto più all’assimilazione che ad una vera e propria difesa delle culture locali, con il risultato di investire più soldi proprio nelle aree più problematiche, andando ad esacerbare le tensioni già presenti. Una politica quindi che vede il denaro come elemento pacificatore, destinata al fallimento in aree come il Tibet e lo Xinjiang dove il sentimento identitario è più forte. Dietro a questo, la gabbia del confucianesimo che impedisce alle autorità un cambio di mentalità.
Una mentalità, secondo Zang, sempre più in conflitto con il resto del mondo che invece, a partire dalla fine della guerra fredda, vede il tema dei diritti delle minoranze sempre più inteso come diritti individuali e non come diritti delle collettività. Questo capitolo del libro è estremamente interessante, mostrando come il tema dei diritti individuali, ponendosi di fatto su scala globale, abbia un potere disgregante per il mondo come è stato conosciuto sinora, ossia fondato sul concetto di Stato nazionale. Proprio qui risiede l’avversione cinese per i diritti individuali, un’avversione che in realtà è una difesa dell’idea stessa di Cina.
Sempre a differenza di quanto scrivono tanti media occidentali, la Cina non vuole dominare il mondo ma tenta di trovare uno spazio di coesistenza, ad esempio partecipando a missioni internazionali, senza tuttavia essere costretta a mettere in discussione il suo modo di essere Stato. La politica occidentale dei diritti individuali, che non prevede confini, rischia di mettere fortemente in crisi la ricerca di un ruolo internazionale per la Cina, ancora legata ad una politica dei diritti delle minoranze etniche fondata sul concetto di comunità. Una questione davvero spinosa, che Xiaowei Zang ci aiuta a capire meglio.
Fonte immagine: npr.org