Ci sono degli eventi che rappresentano dei veri e propri spartiacque nella Storia, uno di questi è la rivoluzione islamica del 1979 con l’ascesa al potere in Iran dell’Ayatollah Khomeyni. Una rivoluzione particolare, quella iraniana, complessa e senza troppi estimatori, nonostante le sue conseguenze siano assolutamente presenti ancora oggi sulla scena mondiale, nei cortei non si vedono sventolare bandiere raffiguranti Khomeyni. Le ragioni sono molteplici, a partire dall’immediata demonizzazione soprattutto americana fino al fatto di essere realizzata in un paese sciita in un universo musulmano soprattutto sunnita.

Capire un paese così importante come l’Iran non è semplice, un libro che può aiutare è Storia dell’Iran di Ervand Abrahamian, un’opera che ripercorre le tappe soprattutto istituzionali dell’Iran contemporaneo per poter capire dove si trovano e dove portano le sue radici. Come detto l’autore tratta soprattutto i mutamenti istituzionali perché, vale la pena sottolinearlo, la rivoluzione di Khomeyni è solo l’ultima di una serie di rivoluzioni che hanno scosso il mondo iraniano degli ultimi secoli. Abrahamian fa partire la sua analisi dai primi del novecento, come recita il sottotitolo del libro, rivelandosi presto una preziosa guida.

Quello che emerge sin dalle prime pagine dedicate alla dinastia Qajar è una costante problematica iraniana nel costruire uno stato centralizzato, con la continua necessità di ricorrere ad accordi di compromesso con le tribù ed i centri di potere locali. Formalmente lo scià era il perno dello Stato, nella realtà le cariche pubbliche come i pochi ministeri, era appannaggio familiare ognuna con un proprio esercito personale. A mettere in discussione lo stato di cose venne la progressiva penetrazione dell’Occidente in Iran, con l’alleanza tra mercanti e religiosi, una caratteristica della società iraniana che arriva sino ai giorni nostri.

Il rapporto con l’Occidente è il grande filo rosso che attraversa la Storia dell’Iran, tanto che proprio intorno all’antimperialismo, soprattutto inglese, ruotavano i movimenti di opposizione alla dinastia dei Pahlavi, salita al potere con un colpo di stato nel 1921. Reza Shah fu il vero edificatore della struttura statale iraniana, grazie anche ai proventi derivanti dal petrolio arrivando a controllare ogni angolo del paese con un governo autoritario e corrotto. A continuare la sua opera fu il figlio Muhamad Reza Shah, che si impadronì definitivamente al potere grazie ad un colpo di stato della CIA, mettendo fine al governo di Mossadeq.

Muhammad Mossadeq è una figura fondamentale nella storia iraniana, senza cui non è possibile capire veramente cosa sia stata la rivoluzione di Khomeyni. Mossadeq emerse come leader nazionalista in concorrenza con l’opposizione allo scià che veniva dai movimenti socialisti. Appoggiandosi sulla classe media suscitò una sollevazione di massa per la nazionalizzazione dell’industria petrolifera, un vero incubo per le potenze occidentali e le loro politiche mediorientali. Come se non bastasse, Mossadeq tentò di togliere alo scià il tradizionale controllo sulle forze armate, prima di venire allontanato dal potere nel 1953.

Proprio l’alleanza tra Pahlavi e interessi occidentali è una delle cause dietro alla rivoluzione di Khomeyni, una rivoluzione sì portata avanti da elementi religiosi ma anche dalle forti tinte sociali. Le masse popolari iraniane erano infatti state fortemente impoverite da quelle che Muhamad Reza Shah chiamò Rivoluzione bianca, teoricamente una redistribuzione di terra ma nella pratica la distruzione del tessuto sociale tradizionale. Alle basi del pensiero rivoluzionario del 1979, inoltre, c’era anche una forte impronta di pensatori come Ali Shariati che introdusse nell’islam sciita letture radicali e rivoluzionarie vicine alla lotta di classe.

Senza entrare nel dettaglio, è indubbio che definire semplicemente islamica la rivoluzione di Khomeyni è riduttivo. A testimoniarlo la complessità stessa della struttura statale iraniana, dove troviamo organi a legittimazione popolare, altri a legittimazione religiosa ed infine un terzo livello ossia le organizzazioni rivoluzionarie in cui confluiscono elementi ideologici ed elementi di natura economico-politica. Il risultato è una struttura statale composta da diversi poteri non sempre in accordo tra loro, con una sorta di funzione di bilanciamento, una realtà molto diversa dall’immagine della teocrazia proposta dai media occidentali.

Il libro di Abrahamian termina con l’elezione di Mahmud Ahmadinejad, eletto a sorpresa presidente della Repubblica nel 2005 e figurà molto più antisistema di come la si è raccontata. Proprio citando Ahmadinejad, la cui campagna elettorale si rifaceva ai valori della rivoluzione ritenuti traditi, possiamo concludere dicendo che oggi il dibattito iraniano ruota intorno al ritenere o meno conclusa la rivoluzione di Khomeyni. Nell’Iran contemporaneo la contesa e tra l’idealismo ed il pragmatismo che guarda all’interesse nazionale, una contesa da cui dipenderanno le sorti dell’Iran futuro e, con lui, di tutto il panorama mediorientale.

Fonte immagine: aljazeera.com