Scrivere questa recensione è stato particolarmente difficile. Non tanto per il libro in sé, stiamo parlando di Xinjiang “nuova frontiera” scritto da Maria Morigi, archeologa e storica dell’arte greca e romana, ma per le questioni più generalmente legate al rapporto tra Storia e dibattito politico. Partiamo dall’inizio: che non sarebbe stata una passeggiata ne sono stato consapevole sin dal primo contatto con l’autrice, quando lei stessa mi ha informato che il libro ha suscitato varie polemiche, con tanto di contestazione, soprattutto negli ambienti più vicini alla difesa dei diritti umani in Cina, almeno per quanto mi sembra aver capito.
Polemica significa anche discussione, se un libro suscita polemica significa che ha qualcosa da dire, che lo si possa condividere o meno, mi sono quindi incuriosito e sono andato alla ricerca di informazioni su Anteo Edizioni, ossia la casa editrice per cui questo libro è uscito. Ognuno si faccia le sue di ricerche, quello che qui mi sembra utile sottolineare è come questo progetto editoriale, che si pone come obiettivo l’occuparsi di geopolitica, storia e strategia, sia politicamente attivo così come tutti i progetti che ruotano intorno al suo fondatore. Idee forti in un mondo dominato dal pensiero debole, qualcosa con cui bisogna fare i conti.
Per chiudere questa introduzione due riflessioni generali che pone il libro. La prima è se esiste l’oggettività della ricerca, una questione dibattuta da secoli. Anche la semplice scelta delle fonti o dello stesso oggetto di studi è una selezione fatta con criteri individuali, il che aiuta anche a comprendere come sia bene diffidare di chi si pone come oggettivo o sopra le parti. La seconda riguarda il diritto alla parola degli avversari politici, un tema molto spinoso in Italia. Uno dei grossi limiti della politica italiana è stato non capire l’avversario politico, in quanto spesso ritenuto non degno di parola e soprattutto senza avere nulla da dire.
Venendo al nostro libro, si tratta di una delle opere migliori disponibili nel panorama italiano sul Xinjiang, tappa fondamentale di quella che fu la Via della seta ed oggi regione chiave nelle comunicazioni tra Cina ed Occidente. La prima parte del libro ha un taglio decisamente più legato agli studi dell’autrice che riesce, con uno stile davvero coinvolgente che non cade mai nel tecnicismo del linguaggio accademico, a ripercorrere le principali tappe della Storia di questo angolo di Cina. Il libro si rivela presto essere un punto di riferimento imprescindibile, per il lettore italiano che voglia conoscere meglio le vicende di questa regione.
Grazie ad una scrittura limpida Maria Morigi ci accompagna alla scoperta del Xinjiang, immergendoci in un’atmosfera fatta di antichi imperi inghiottiti dalle sabbie del Taklamakan e centri religiosi, destreggiandosi con abilità tra rovine e battaglie. La linearità della scrittura rende questo esile libro una vera miniera a cui affidarsi nel corso del proprio viaggio verso le splendide grotte buddhiste della regione, oppure all’interno delle sale del museo di Urumqi dove si possono ammirare le mummie del Tarim. A completare il tutto, schede di approfondimento ed una bibliografia facilmente accessibile al lettore italiano.
Con i capitoli finali del libro si arriva ad affrontare vicende storiche a noi più vicine, di fatto l’oggetto delle principali contestazioni. Interessante notare come spesso le diatribe e le polemiche si smorzino con l’allontanarsi nel tempo delle vicende contestate, difficile oggi vedere qualcuno indignarsi per la politica fiscale di Pericle… L’autrice in questi capitoli si avventura nell’affrontare il tema della presenza cinese nello Xinjiang odierno, mostrando come la regione sia oggetto di pressioni anche internazionali interessate alla sua posizione strategica, cercando poi di mettere nella giusta luce la minaccia del terrorismo islamico.
A mio avviso questa parte del libro ha uno stile più acceso, forse anche più partigiano, ma grande merito della Morigi è quello di offrire sempre al lettore fatti concreti, in modo che ognuno possa farsi un’opinione, non per forza coincidente con quella dell’autrice. Se proprio vogliamo trovare un punto un po’ più debole del libro è quando viene affrontato il tema etnico, soprattutto per quanto riguarda l’età contemporanea. In ogni caso il valore del libro è chiaro se lo si confronta alle poche pagine riportate da altri autori, dove lo stile è decisamente più polemico, militante e meno obiettivo di quanto non sia l’importante opera Maria Morigi.
Fonte immagine: Globaltimes.cn
In internet, sui siti degli esuli uiguri, si legge di un milione di deportati uiguri nei laogai, e addirittura di matrimoni forzati tra donne uigure e uomini cinesi.
Cosa c’è di vero in queste notizie? Oppure si tratta di esagerazioni di una propaganda rancorosa contro il governo di Pechino?
Questione molto molto complessa. Potrebbe essere come dici ma non escludo che ci sia del vero.