In passato questo blog si è occupato molto di questioni energetiche, un tema ormai un po’ tralasciato per diversi motivi. C’è chi ne parla meglio e con maggior competenza, quindi meglio farsi da parte ed ascoltare chi lo merita, tuttavia impossibile non scrivere dell’arrivo del TAP in Italia, un gasdotto al quale abbiamo dedicato più di un articolo. I motivi di interesse sono molti, quelli su cui mi voglio concentrare sono legati in parte alle lotte di chi il TAP lo combatte usando una sigla che rimanda ad un’altro movimento molto famoso, discusso ed importante, il movimento NoTav della Val di Susa.
A livello geopolitico gli argomenti da approfondire sarebbero molti, dal fatto che il TAP ha vinto la concorrenza del progetto Nabucco nettamente più “antirusso”, all’ingresso della SNAM tra i detentori di quote. SNAM che si può collegare all’ENI, partner della russa Gazprom in molti progetti ed entrata in rotta di collisione non molto tempo fa col governo italiano. C’è inoltre lo status del Mar Caspio, la cui definizione potrebbe forse cambiare notevolmente gli scenari della regione, insomma i temi strategici legati al TAP sono molti, tutti di grande interesse e rilevanza.
Quello che comunque interessa ora è il fatto che, come detto, il TAP sia arrivato in Italia, accolto da numerose proteste e facendosi largo tra gli ulivi secolari della Puglia. Il progresso deve abbattere la tradizione, il futuro deve cancellare il passato se si vuole progredire, non si può rimanere all’età della pietra e via dicendo, ma siamo sicuri che si tratti davvero di progresso? Lungi da me fare il fondamentalista ecologista, un ulivo varrà sempre come un ulivo, evitando le derive davvero bizzarre che hanno letteralmente reso impresentabile gran parte del movimento animalista.
Eppure la questione di cosa sia davvero il progresso bisogna porsela, soprattutto oggi che si parla di necessità di energie rinnovabili e sostenibili, non propriamente il greggio che arriva dal giacimento azero di Sha Deniz II. Per capire bene come l’idea di progresso vada messa in discussione possiamo spostarci in Val di Susa, dove un’intera popolazione – aspetto sempre minimizzato dai media – si scontra con un’opera fuori tempo, realizzata in una situazione economica profondamente diversa dagli anni in cui fu concepita, uno scempio ambientale in nome di un ipotetico rilancio futuro.
La stessa situazione delle nuove tangenziali lombarde, realizzate per sostenere un volume di traffico merci che non esiste più. Proprio qui sta il dramma del progresso, nel non potersi fermare accettando i suoi fallimenti. Alla crisi economica si risponde rendendola ancora più profonda, una crisi da sovrapproduzione che si vuole combattere incrementando proprio la produzione, con il populismo dell’aumento dei posti di lavoro, che produrranno merci che renderanno la crisi ancora più grave. Il dramma del progresso è quello di non poter guardare alle sue spalle, di farsi Storia.
Lo sradicamento degli ulivi pugliesi rappresenta di fatto questo: la negazione della Storia ed il rifiuto della tradizione in quanto inutile ingombro al progresso. Se le generazioni precedenti hanno fatto in un certo modo, quelle successive devono a tutti i costi fare diversamente, aumentare la produzione e la redditività a livelli insostenibili, spingendo ogni cosa verso un limite estremo. Solo per fare un esempio la scienza allunga sempre più la vita ma non ci saranno più pensioni; un mondo di poveri immortali, senza contare la divisione ormai planetaria tra ricchi e poveri, chi può e chi no.
NoTap e NoTav ci insegnano anche come basti un no per inceppare il sistema, come la democrazia per non diventare autoritaria debba fondarsi sul consenso, peccato che questo consenso sia spesso coinciso con l’interesse personale. In una situazione di crisi economica il sorriso della democrazia diventa ghigno, gli strumenti di repressione diventano norma e le carte si scoprono. In un contesto di crisi le classi dirigenti si chiudono a propria difesa, trincerati dietro slogan che diventano la loro pietra tombale, il regno del dire prende il posto del regno del fare alienandosi il favore di molti.
Il progresso non ha memoria, per questo la Storia è l’arma per resistere ad un mondo omologante che predica la pace sociale, incapace di gestire i conflitti. La Storia è l’arma contro un’informazione che non esita a proclamare il falso, a patto di farlo prima degli altri, un’informazione che non ha il tempo per riflettere diventando uno degli elementi più nocivi della società. La Storia è l’arma per restare sé stessi, per capire quanto la tradizione sia il futuro e quanto il progresso sia il colpo di coda di un sistema fallito che non vuole morire. La memoria è resistenza!
Grande!
Grazie!
“Solo per fare un esempio la scienza allunga sempre più la vita ma non ci saranno più pensioni; un mondo di poveri immortali, senza contare la divisione ormai planetaria tra ricchi e poveri, chi può e chi no.”
Legalizzeranno l’eutanasia, e così risolveranno i problemi.
La cultura dello scarto è il risultato scontato del “produci-consuma-crepa”.
Con produzione e consumi in crisi, non resta altro che crepare…..
Acuta osservazione…
“La Storia è l’arma per restare sé stessi,..” non è sbagliato cambiare, a volte l’errore è proprio restare se stessi.
Per come la vedo io il problema è che non sappiamo (generalizzo) capire chi dice il vero o il falso perchè….il like è più importante e una notizia che ti tocca la pancia (o il tuo orticello) è sicuramente “più vera” di una che parla del “bene comune” che è “sicuramente falsa” perchè scomoda e così diventiamo (generalizzo anche qui) o rimaniamo i “noi stessi” che però qualcun’altro vuole. E quindi “produci-consuma-spreca-inquina-crepa”.
Bell’articolo!
Grazie!