Come è ormai noto, tra tutti i paesi centroasiatici il più sorprendente è certamente il Turkmenistan, uno stato che definire autocratico è riduttivo, sempre pronto a nuove trovate siano queste una statua dorata del presidente che gira insieme al sole, una biblioteca nazionale a forma di libro oppure un nuovo aeroporto. È stato infatti recentemente inaugurato il nuovo aeroporto internazionale di Asghabat, la capitale, un’opera che dice molto sul carattere, forse anche sul futuro, del Turkmenistan. Un aeroporto a forma di falco, il simbolo della compagnia aerea di bandiera, la Turkmenistan Airlines.

Il nuovo aeroporto rientra nel filone della monumentalità turkmena, rappresentazione visiva del potere monolitico, costato oltre 2miliardi di dollari ed in grado di gestire circa 1600 passeggeri all’ora, un volume di traffico che ben rappresenta le (forse) utopiche aspirazioni della classe dirigente turkmena. Molto probabilmente si tratta dell’ennesima struttura che resterà inutilizzata, come gli alberghi in marmo bianco di Ashgabat (che valgono al Turkmenistan un posto nel guinness dei primati) oppure la sottoutilizzata ferrovia nord-sud che unisce Kazkistan ed Iran.

Si, perché in Turkmenistan di viaggiatori non ce ne sono, soprattutto per via di una delle più restrittive politiche sui visti al mondo. Entrare nel paese non è semplice, ma soprattutto è costoso, con un tasso di rifiuti alle richieste di visto spesso alto ed immotivato. La media annuale di turisti è di circa 100.000 unità, nonostante il paese abbia da offrire delle vere e proprie bellezze naturali come il deserto del Karakum, siti archeologici come le rovine di Merv oppure la visita della stessa Ashgabat. Ma allora perché qual’è il senso nel costruire questo aeroporto se non la megalomania?

La megalomania è spesso tirata in ballo per giustificare le scelte della nomenklatura turkmena, eppure bisognerebbe ricordare come questo paese si sia trovato alle prese con un’indipendenza non cercata ed una identità da costruire, tenendo insieme una varietà di clan tradizionalmente fieri e combattivi. Probabilmente il culto della personalità è la soluzione che la dirigenza, fino al giorno prima sovietica, ha naturalmente adottato chiudendo per di più il paese in una rigida neutralità che oggi sembra essere sul punto di andare in frantumi, anche per tutto questo ora il Turkmenistan tenta (forse) di aprirsi al mondo.

Le autorità locali hanno infatti dichiarato che il nuovo aeroporto aumenterà considerevolmente il numero di visitatori nel paese, rientrando nel progetto che vuole fare del Turkmenistan un ponte tra Asia ed Europa. Il banco di prova non tarderà ad arrivare, visto che nel 2017 proprio il Turkmenistan ospiterà i Giochi asiatici indoor e di arti marziali su cui Ashgabat conta molto come vetrina. Bisognerà tuttavia vedere quanto ai visitatori sarà permesso di vedere della realtà turkmena, sempre più difficile e lontana dall’idea del Turkmenistan come ricco e felice paese di nomadi petrolieri.

L’economia quasi unicamente legata agli idrocarburi, associata alla difficoltà di vendere il greggio per problematiche legate alle condotte, sta precipitando il Turkmenistan in una grave crisi economica. In varie parti del paese si stanno verificando penurie di prodotti alimentari come la farina, razionata e con un prezzo arrivato alle stelle. I dipendenti di diversi settori pubblici come ferrovieri, insegnanti e poliziotti non ricevono lo stipendio da mesi, senza contare che la guerra afghana si fa sempre più presente come dimostrato dai recenti scontri armati tra gruppi talebani e guardie di confine turkmene.

La neutralità assoluta turkmena sembra non reggere alla prova dei fatti, spingendo il paese ad aperture nella ricerca di possibili alleati che lo possano aiutare. Tuttavia l’autocrazia di Ashgabat non sembra intenzionata a simili aperture sul piano interno, visto che la morte del leader uzbeko Karimov si è rivelata occasione propizia per una revisione della carta costituzionale, eliminando i vincoli per futuri rinnovi della carica presidenziale detenuta da Berdimuhamedow, un percorso intrapreso anche da Kazakistan e Tagikistan. Riuscirà la rigida autocrazia a non spezzarsi?

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