Il popolo degli uighuri, di etnia turca e fede musulmana, sta sempre più attirando l’attenzione delle cronache asiatiche, soprattutto dopo essere stati messo in relazione all’attentato che lo scorso agosto ha provocato più di venti vittime nel cuore di Bangkok. Il legame tra gli uighuri ed il terrorismo islamico è da anni denunciato dalla Cina, paese di cui il Xinjiang, la regione abitata dagli uighuri, fa parte. Il Xinjiang è inoltre da tempo al centro di un enorme progetto economico, la Nuova Via della Seta, che pone di fatto il popolo uighuro di fronte alla scelta tra resistenza e integrazione, con possibili derive fondamentaliste.

Il rapporto tra la Nuova Via della Seta ed il pericolo del terrorismo uighuro, risulta complesso e non di facile lettura. Se da un lato questo progetto rappresenta un corridoio per permettere alle merci cinesi di raggiungere l’Occidente attraverso l’Asia Centrale, suscitando le proteste degli uighuri che vedono letteralmente sconvolto il territorio in cui vivono, dall’altro si rivela come un tentativo di inserire il Xinjiang in un contesto di crescita economica che potrebbe placare gli animi più radicali. Alcuni analisti sono arrivati al punto di definire la Nuova Via della Seta come un nuovo Piano Marshall, ovviamente in salsa cinese.

Il costo dei piani di Pechino per la Nuova Via della Seta può essere calcolato in più di 3 trilioni di dollari, ma ci sono diverse ombre. Innanzitutto proprio il problema della sicurezza delle terre attraversate, che non convince possibili investitori internazionali, con la conseguente necessità di un rafforzamento della presenza militare cinese ed un possibile peggioramento della situazione. Resta poi da vedere se l’eventuale ricchezza che raggiungerà il Xinjiang sarà, e come, distribuita tra la popolazione uighura che ad oggi risulta essere ancora in una posizione di marginalità, soprattutto sociale, rispetto ai cinesi han.

Ma la Cina si scontra con la presenza degli uighuri anche in altre parti dell’Asia. Il progetto della Nuova Via della Seta, infatti, prevede anche rotte marittime che attraversano paesi in cui è presente la diaspora uighura. Non è un caso che l’attentato di Bangkok sia arrivato poco dopo la consegna alla Cina, da parte della Thailandia, di diversi ricercati uighuri. La radicalizzazione della diaspora uighura rischia di essere la miccia che potrebbe incendiare il mondo dell’Islam asiatico, un mondo in cui le lotte di parte della popolazione musulmana sono sinora state legate a fattori locali e territoriali, come avviene appunto in Thailandia, nelle province musulmane del sud.

Pur non generalizzando, gli allarmi cinesi in merito al pericolo islamista non possono essere del tutto ignorati. La presenza, pur numericamente esigua, degli uighuri in Afghanistan al fianco dei talebani è certa. Tuttavia l’obiettivo ugihuro è sempre stato quello di un Turkestan indipendente, ossia la liberazione del Xinjiang dal governo di Pechino. Oggi gli uighuri hanno seguito lo stesso percorso degli uzbeki dell’IMU (Islamic Movement of Uzbekistan), vale a dire il passaggio dall’alleanza con i talebani, tramite Al Qaeda, alla presenza su fronti contrapposti dato che non tutti i gruppi hanno deciso di combattere per lo Stato Islamico.

La guerra in Siria e la presenza dello Stato Islamico stanno, ad alcuni potrebbe sembrare paradossale, indebolendo molti gruppi islamici radicali, frantumandoli in diverse fazioni divise sugli obiettivi da raggiungere e sulla leadership del movimento. Per combattere il radicalismo islamico la Cina ha recentemenre firmato un accordo con il Pakistan, il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC) del valore di circa 46 milardi di dollari, rendendola sempre più presente sulla scena internazionale, come dimostrato dalla sua presenza militare nel porto siriano di Tartus, un’importante base navale russa.

Di fronte a tutto ciò il popolo uighuro si trova di fronte a scelte difficili, ossia se accettare le promesse cinesi di crescita economica, pagando il prezzo di una certa sinizzazione, oppure continuare a resistere a costo di radicalizzarsi e di scegliere forme di lotta sempre più violente; oggi più che mai per gli uighuri serve una terza via. Sulla scena internazionale sarà invece la diaspora, che trova protezione nella Turchia, ad avere un ruolo fondamentale per gli equilibri asiatici. Il popolo uighuro rischia quindi di essere travolto da logiche e processi altrui, come purtroppo spesso accade nel corso delle vicende storiche.