In Siria si sta giocando una complicata partita (e nemmeno di scacchi ma di calcio fiorentino) per il controllo delle risorse energetiche. In particolare di notevole importanza è il cosiddetto “gasdotto sciita”, ossia la pipeline che trasporta il gas iraniano in Siria passando per l’Iraq. Il progetto, intrapreso nel 2011, vede la fortissima opposizione sia della Turchia che del Qatar (che pure dell’Iran è partner energetico).
Infatti l’esistenza di tale gasdotto, che l’Iran vorrebbe estendere al Libano, permette di raggiungere i mercati europei indipendentemente proprio dai due paesi sopracitati. La Turchia sta sempre più cercando di affermasi come “tramite” energetico dell’Unione Europea, arrivando così ad uno scontro con l’Iran per il predominio nella regione, rischiando di invischiarsi in una situazione dove la religione potrebbe giocare un ruolo sempre più importante. Si profila infatti uno scenario in cui il gasdotto divida paesi sciiti e paesi sunniti con quest’ultimi ostili ai progetti iraniani.
La stessa Turchia nella sua politica anti-iraniana è sostenuta da finanziamenti provenienti dall’Arabia Saudita, nonostante l’ambiguo rapporto con Assad di quest’ultima, ed è diventata la “protettrice” di fatto del movimento dei Fratelli Musulmani, sempre più testa di ponte turca in medio oriente. E non sembra un caso che l’Egitto abbia deciso di riaprire il flusso del gas verso la Giordania, in quello che sembra un accerchiamento energetico della Siria. Va tuttavia notato che la Giordania sta tentando di ridurre la propria dipendenza energetica affidandosi ad una compagnia canadese, la Global Oil Shale Holdings (GOSH). I Fratelli Musulmani, ed i loro legami con l’Arabia Saudita, sembrano quindi essere l’elemento che unisce la Turchia, che non va dimenticato essere un membro NATO, agli interessi mediorientali degli Stati Uniti, il che non piace assolutamente ad Israele.
I rapporti tra Israele e l’amministrazione Obama sembrano essere sempre peggio, e le elezioni presidenziali statunitensi sono di fatto una vera e propria scelta di campo. L’eventuale vittoria di Romney significherà un vero e proprio cambio di rotta degli USA nella regione, e i finanziamenti israeliani alla sua campagna elettorale sono a dimostrarlo. A complicare la situazione le recenti scoperte dei giacimenti al largo delle coste d’Israele che rischiano di creare uno Stato ebraico autosufficiente e quindi, nella peggiore delle ipotesi, fuori controllo.
Difficile sembra essere la posizione russa che si trova a difendere il gas iraniano per non perdere la propria presenza nel mercato energetico mediorientale, scontrandosi con gli interessi turchi, ma allo stesso tempo trovandosi a collaborare con Ankara nella questione del gas cipriota in funzione anti-israeliana. Una situazione quindi intricata, dove tutti gli attori in gioco si muovono su equilibri sottili e dove gli sviluppi futuri sono densi di incognite.
“…uno scenario in cui il gasdotto divida paesi sciiti e paesi sunniti …”
E sarebbe niente, se non fosse che i suddetti Paesi non esistono! O almeno non rappresentano altrettante Nazioni. Iraq, Siria, Giordania e Turchia sono un terribile guazzabuglio di etnie e correnti religiose diverse, messe assieme grazie alla stupidità coloniale che disegnava i confini con il righello. Non parliamo nemmeno della dislocazione dei curdi, insensata, o della condizione del Libano, peggio che insensata.
La penisola arabica non vive molto meglio: nella stessa Arabia esistono forti minoranze sciite, ultimamente bellicose; e contigue alla culla della corrente sciita esistente nell’Iraq del sud. Lasciamo perdere il Bahrein, è un caso talmente imbarazzante che i media preferiscono sorvolare.
Questa sostanziale debolezza di fondo può anche essere una via per il futuro: se nessuno riesce a prevalere con le autobombe ed i golpe, forse gli attori coinvolti ad un certo punto opteranno per la diplomazia. O almeno ci si potrebbe sperare!
Si, hai perfettamente ragione. Le cose sono così complicate anche per i motivi che dici